La salvaguardia della cultura e dell’arte di Massazza era l’interesse principale che mi accomunava a don Virgilio. Lui fu il tramite per la conoscenza successiva con don Lebole e gli studi sul Castello di Massazza, che seguo dagli anni Settanta. 
Mia moglie, Omella Pellizzari di Massazza, mi fece conoscere sua zia Rosy, la cui famiglia fu l ‘ultima ad abitare il Castello negli anni Sessanta. Io provengo da Bereguardo, in provincia di Pavia, e fin dall’infanzia ho assorbito il desiderio di uno stile di vita legato alla terra. Persino all ‘epoca della crisi energetica o al tempo del mio impiego nelle multinazionali, ho continuato a sostenere che, per risolvere i problemi sociali, fosse necessario ripartire dalla semplicità di una vita legata alla natura, laddove gli ammortizzatori sociali per le famiglie sono costituiti dall’orto e dal frutteto, dal pollaio e dalla stagionalità di prodotti naturali, come le castagne, le rane, le lumache, i funghi. Parlavo di questi argomenti con don Crovella che conobbi nell976, quando ho iniziato ad interessarmi del recupero del Castello di Massazza, che era tutto un rudere sommerso dalla vegetazione. Allora avevo forza fisica, ideali da realizzare, una rete familiare vasta al seguito, in particolare mio zio Francesco Plebani e vari cugini, in tutto una ventina di persone solidali nell’aiuto concreto di ristrutturazione e recupero di un Castello pieno di storia. 
Don Crovella condivideva con me la stessa idea di salvataggio, consistente nel non demolire i ruderi e nel ripristinare e riportare in vita la chiesa e la canonica del Castello. Quanto ho lavorato per la facciata della chiesa! Tutto il tempo libero, i ponti, le ferie, su un mio ponteggio e con l’aiuto di pensionati, ho consolidato, ripristinato, pulito muri, salvato quello che si poteva dal vandalismo che aveva sottratto camini, porte e ogni pietra di valore. 
Mi piaceva ritornare sulla storia dei luoghi con don Crovella: parlavamo della motta celto-ligure, dell’ubicazione dell’abitato della popolazione di Massazza in epoca romana, dei corsi d’acqua che scendevano verso il Cervo dalla Baraggia che, collina dopo collina, arriva fino a Varese. Indagavamo anche sulla chiesa che un tempo era in alto -ora se ne trovano solo i ruderi- prima di essere riedificata nel piano; o sulle bonifiche degli ordini monacali, con la rete di fossi e di canali al servizio delle cascine, rendita di feudatari e di signori: Visconti, marchesi del Monferrato, Avogadro, Savoia, che si contendevano queste terre. 
Come don Crovella, studioso di documenti antichi e di storia locale, mi sento custode del periodo che ci è concesso di vivere, dei beni che dobbiamo mantenere e consegnare alle generazioni a venire. A me il passato è stato consegnato in pessimo stato ma, come dicevo anche a don Lebole che in quel periodo raccoglieva la documentazione per la pubblicazione “Storia della chiesa biellese. Le pievi di Vìttimulo e Puliaco “, la finalità era proprio la conservazione del patrimonio artistico e culturale di Massazza. Insieme, per fotografare l’abside, ci siamo fatti strada con il machete. Come ringraziamento lo storico biellese, grande amico ed esecutore testamentario di don Crovella, mi ha scritto una dedica di cui vado orgoglioso: “A Giorgio Cavallari, secondo fondatore del Castello di Massazza“.
Per 24 volte abbiamo ridato vita anche ad una tradizione dimenticata: quella che don Crovella chiamava le “rogazioni”, cioè la processione che si sarebbe dovuta tenere nel mese di agosto, in occasione dei festeggiamenti della patrona Santa Maria Assunta, ma per via delle ferie della popolazione, la si spostava in genere al mese di settembre. Si partiva dalla chiesa parrocchiale di sera con le fiaccole e la banda di Salussola che suonava, per arrivare al Castello. Don Crovella, sotto il baldacchino retto da quattro chierichetti, alla luce delle candele saliva sul palcoscenico creato con le macerie dei ruderi. Io posizionavo ogni anno la statua della Madonna, donata da un convento di suore, e il Parroco impartiva la benedizione unitamente alla predica e ai ringraziamenti. E’ bella la chiesa del nostro Castello: ci sono due altari, uno del 1300 e uno del Sei-Settecento. Ho rifatto il tetto, messo a posto le crepe, provveduto all’isolamento, rimesso in ordine la facciata. Gli arredi sono frutto di regali, in modo da ripristinare un minimo di addobbo. I paramenti e i libri sacri erano già stati presi da don Caucino, predecessore di Crovella, per sottrarli al degrado dell ‘edificio sacro. Tutta la documentazione e i reperti più importanti si trovano ora nella parrocchiale di S. Maria Assunta. In questa chiesa, in cui i canonici avevano un tempo anche la sacrestia, ho fatto battezzare da don Virgilio i miei figli: nel 1982 Arianna, nel 1985 Gabriele e nel 1988 Susanna.

Il Parroco mi è stato di aiuto anche nella battaglia contro le cannonate sparate in Baraggia, che aprivano vistose e pericolose crepe nei muri. Abbiamo salvaguardato il Castello, che è di per sé un percorso visivo architettonico dai primordi all’Ottocento, e che oggi è stato scelto come unico castello dal Ministero dei Beni culturali per la settimana della Cultura. 
Il rapporto con don Crovella era fatto anche di amichevoli chiacchierate di ampio respiro, di scambio di visioni, di recupero di certe parti. Non si è mai intromesso nella scelta dei sacerdoti che potevano celebrare Messa al Castello e lasciava volentieri ad altri l’essere canonico. A mio parere don Virgilio usciva dagli schemi dal classico parroco, era un uomo di studio e lo vedevo di più come un benedettino introverso, immerso in un mondo di cultura e di incunaboli dove si interpretava la scrittura antica. Aveva il fascino del distacco, per cui non dava confidenza ma pareri. 
Anche nell’incedere rispecchiava l’uomo di pensiero, esprimeva flemma persino quando andava ad acquistare il pane nel negozio di fronte a casa. Lo ricordo vestito sempre con pantaloné e giacchetta, solo durante le funzioni o le processioni indossava la tonaca. La sua semplicità si ritrovava nella sua laicità esterna, quando lo si sarebbe potuto confondere con una persona qualsiasi. La popolazione, tra cui ho il piacere di annoverarmi, lo ricorda con affetto e riconoscenza.

Giorgio Cavallari

Testo tratto dal volume “Don Crovella, un prete umile e speciale ”  Novembre 2011 – edizioni Comune Massazza